La condurrò nel deserto

Su ali d'aquila

Domenica 19 febbraio - Ultima dopo l'Epifania


La condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore. Esistono diversi deserti nella nostra vita. Alcuni sono donati da Dio, altri invece sono opera nostra. Il deserto di Dio è l’occasione per fare silenzio, è l’occasione per fare ordine nella propria vita, nella propria storia. Il deserto che ci dona Dio non è solo un luogo geografico, ma è anche quello spazio dove sentiamo che il tempo si ferma per immergersi nel suo amore, nel suo volto di Padre. Deserto può essere una chiesa, deserto può essere un tempo della nostra vita. Il tutto però va visto come una grazia di Dio, come un dono che Lui ci da. Possiamo accogliere allora le parole del profeta Osea anche per noi: quante volte continuiamo a vivere per inerzia? Quante volte in questo continuare a vivere sentiamo una stanchezza interiore? E’ questa stanchezza che ci deve richiamare a trovare un tempo di silenzio, un tempo di sosta, perchè il nostro rischio è quello di andare avanti perdendo il gusto, il sapore, la melodia della vita. Ce lo ricorda proprio Osea: Israele si è dimenticato della storia di amore con Dio, cerca altri dei, divinità, stili di vita di altri popoli, ma poi si ritrova sola, spaesata, senza più un senso per vivere. E allora ecco il tempo del deserto, tempo per riscoprire il primo amore, tempo per vedere il volto di Dio non come il volto di uno che ostruisce e impedisce la mia liberà, ma come il volto di chi da sapore e gusto al mio cammino!

Esistono poi i deserti che creiamo con la nostra storia. Il figlio minore della parabola del Padre Misericordioso ci ricorda tutti i deserti che abbiamo creato con le nostre scelte. Ed è però in una situazione arrivata all’estremo che il figlio minore ritorna in sè, e decide di tornare dal padre non più come figlio, ma come schiavo. Ed ecco l’atteggiamento che ci sbalordisce: il padre nella compassione per quel figlio che torna così, segnato e ferito dalle sue scelte, gli corre incontro, lo bacia e invita tutti, anche il figlio maggiore nel suo orgoglio, a far festa perchè questo figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. Questa è la festa della riconciliazione, la festa che Dio prepara ogniqualvolta noi comprendiamo la misura della nostra distanza da lui, ogniqualvolta comprendiamo che siamo lontani dalla misura del suo amore. Il perdono di Dio sorge e nasce dalla nostra piena consapevolezza del nostro errore. Ma c’è di più: Dio in questa piena consapevolezza non ci lascia attanagliati dal senso di colpa, ma ci viene incontro e ci abbraccia. Il deserto degli affetti diventa un giardino fiorito, una nuova primavera, una grande pasqua.

Tanti santi anche moderni hanno scelto il deserto. Charles de Focauld dopo aver esplorato il Marocco e aver abbracciato la fede cristiana grazie alla cugina e all’abbè Huvelin, dopo una grande ricerca che lo portò in diversi monasteri, tra cui a Nazareth, decise di vivere nel deserto dell’Algeria a Tamanrasset a contatto con i Tuareg. La sua vita insignificante invece è diventata un germe di conversione e di provocazione di come è nel riconoscere la nostra piccolezza che si può generare una fraternità inimmaginabile. Il fermaglio che teneva ferma l’ostia trovata in mezzo alla sabbia dopo la morte violenta che subì a causa dei predoni, è la testimonianza di come il deserto cercato da fratel Carlo è diventato il deserto di Cristo che ha generato un nuovo seme nella Chiesa.

I monaci di Tibherine che vennero uccisi da un comando terroristico nel marzo 1996 sono anche loro una profonda testimonianza di quel deserto che fa sgorgare nuova vita. E lo leggiamo nelle parole di Padre Christian de Cherge, nel suo testamento, quando nelle ultime righe perdona il fratello algerino che alzerà la mano contro di lui e i suoi fratelli così: E anche te, amico dell’ultimo minuto che non avrai saputo quel che facevi. Sì, anche per te voglio questo “grazie”, e questo “a-Dio” nel cui volto ti contemplo. E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in Paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, di tutti e due.

La domenica del Perdono diventa quindi un profondo invito a vivere il nostro deserto, a saperlo descrivere e a saper trovare quella fonte zampillante dell’amore di Dio, il nostro legame con Lui, perchè il giardino possa fiorire e dare frutti e segni di risurrezione, frutti e segni dello Spirito per i fratelli.
 

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